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Ricordando padre Mario Di ianni

Domenico Rosa msc ricorda il padre Mario di Ianni msc, scomparso il 30 giugno scorso.

Lo scorso giugno mi sono recato a Roma per una serie di eventi culturali, il mio arrivo, mercoledì 28, è coinciso con l’entrata in agonia di Mario. È stato un dono del Signore per me rivederlo un’ultima volta e assistere p. Andrea mentre lo ungeva con l’olio santo. Due giorni dopo è morto. Da qualche tempo le sue condizioni di salute erano peggiorate e viveva nella casa di cura delle nostre suore. Qualche mese prima l’avevo trovato abbastanza lucido, così gli chiesi di benedirci. Lui acconsentì e vedendo che il suo vicino di letto non rispondeva “Amen”, mi guardò dicendo: “Ho benedetto anche lui, perché non risponde?”. In queste sue parole riassaporai la sua ironia e il suo spirito battagliero che tanto ci accomunavano. Venivamo entrambi dalla stessa zona, seppur da due regioni diverse, Abruzzo e Molise, che in realtà così diverse non sono. È l’unico confratello al quale ho dato da subito del “tu” e tolto l’appellativo “padre”. Per me il professor Di Ianni, docente di Teologia Morale all’Università Urbaniana, era semplicemente Mario. Quando vivevamo insieme nella comunità di Corso Rinascimento passavo ogni mattina in camera sua – porta sempre aperta – mentre si dedicava alla lettura del quotidiano. Lo salutavo con un “Ciao Guagliò” e iniziavo a parlarci in dialetto. Mi piaceva accentuare la mia dizione quadrese per farmi dire ogni volta: “Voi di Quadri parlate più agnonese degli agnonesi”. Intuivo una certa ostilità tra Capracotta, cittadina natale di Mario, che amava in modo viscerale, e Agnone, borgo noto per via delle sue campane. Dopodiché mi ricordava che il mio paese fosse quello delle streghe, ed io gli spiegavo che in realtà Quadri era il paese delle belle donne e che il binomio strega/femme fatale non fosse mai del tutto tramontato. Non credo che le mie parole lo convincessero ma per me passare del tempo con lui serviva a crescere e ad assaporare una certa familiarità che spesso manca tra confratelli. Era sempre disponibile e ogni volta che gli chiedevo di rivedere qualche mio scritto lo faceva volentieri, apportando correzioni e osservazioni.

La sua vita era stata segnata dalla morte nel 1942, durante il parto, della madre Rosa e del fratellino Giuseppe. All’epoca Mario aveva tre anni, era struggente sentirgli dire: “Non ricordo nemmeno la voce di mia madre”. Sulla sua scrivania, al centro di scaffali pieni di libri, campeggiava la foto della genitrice, mi diceva che una volta morto avrebbe chiesto al Signore di poter passare giornate intere a parlare con mamma Rosa. Una tenerezza infinita emergeva dalle sue parole, una mancanza incolmabile che però l’aveva portato a vivere una vita piena di Dio, piena d’Amore. Mi raccontava della sua famiglia di carbonai che si divideva tra Capracotta e San Paolo Civitate in provincia di Foggia, dei sacrifici e del “sangue buttato” di papà Paolo, dei suoi fratelli Aldo e Rosa, rispettivamente generale dell’Esercito Italiano e maestra elementare, del cugino Carmine, divenuto sindaco della cittadina natale; a ricordare che l’impegno paga sempre. Oltretutto anche la vita religiosa non era stata una passeggiata, mandato a tredici anni a Narni in Umbria a studiare alla Piccola Opera, un ambiente tutt’altro che comodo, poi il noviziato ad Agrano in Piemonte, dove i giovani venivano sottoposti a dure prove. Dopodiché, al termine dell’anno di noviziato, il 4 ottobre del 1957, emise la prima professione religiosa votando obbedienza, castità e povertà. Dopo otto anni, il 18 dicembre del 1965, venne ordinato sacerdote nel Santuario di Nostra Signora del Sacro Cuore a Roma, precedentemente aveva frequentato gli studi filosofico-teologici alla Pontificia Università Gregoriana. Il suo amore per la conoscenza non si arrestò nemmeno di fronte agli impegni gravosi dettati dall’essere vicedirettore dell’Istituto per i minori in difficoltà (ENAOLI) di Torvaianica nel comune di Pomezia. Infatti durante la permanenza sul litorale laziale continuò gli studi di Teologia Morale all’Alfonsianum di Roma ed insegnò in diverse scuole medie. Nel 1988 rientrò nella città eterna a tempo pieno e iniziò la carriera accademica alla Pontificia Università Urbaniana, dove è rimasto in cattedra fino al 2011 e ha lasciato un ricordo indelebile per le sue qualità umane e dottrinali. Numerose le pubblicazioni, tra le quali ricordiamo: ‘La Verità nel Comunicare’ ed. Viverin; ‘Metodologia’ ed. Pontificia Università Urbaniana; ‘La distruzione di Capracotta 1943-1944’ ed. Comune di Capracotta; ‘Appunti di Metodologia Teologica’ ed. Pontificia Università Urbaniana. Ha poi curato per L’Enciclopedia Cattolica la voce: “Fecondazione artificiale”. Encomiabile infine il lavoro svolto per la Provincia Italiana dei Missionari del Sacro Cuore di Gesù risistemando l’archivio e la biblioteca.

Mario, lontano da ogni diatriba, ha compreso a fondo il messaggio rivoluzionario cristiano. Non si è mai seduto al tavolo dei potenti, con l’esempio della sua vita ha sempre dichiarato la totale incompatibilità tra la Parola e il potere. Non ha mai barattato la sua libertà di figlio di Dio con la sicurezza della vita comoda di chi, come la folla, prima grida “osanna” e poi “crocifiggilo”, ha vissuto con generosità, estraneo alle seduzioni della ricchezza, la cui azione soffoca il messaggio evangelico e rende sterili. Ha dato abbondante frutto.

Grazie Guagliò. 

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