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Padre Giovanni Genocchi

«Il primo incontro con Padre Genocchi ingannava il visitatore.
L’alta statura eretta, sottile, dall’aperta faccia e dalla fronte pensosa, dall’occchio strabico ma penetrante, piena di virilità nella larga barba, curata ma non troppo, e nella folta capigliatura che dava la sensazione della forza e della stabilità, faceva piccoli e timidi e imponeva rispetto. Ma poi che egli aveva stretto la mano e avviato il discorso, i suoi modi accoglienti, pieni di naturalezza e di sincerità, e la sua conversazione, impostata subito sul tono dell’amicizia, toglievano d’impaccio e rivelavano l’uomo.
L’uomo, nel senso più vero della parola semplice e schietto, socievole e cordiale, a cui la professione di sacerdote e di religioso ne illuminava tutte le manifestazione con una simpatica nota di dignitosa disinvoltura, fatta per conquistare gli animi e aprirli a tutte le confidenze» (P. Vincenzo Ceresi, Padre Genocchi, 1945, p. 5).

Padre Giovanni Genocchi

Giovanni Genocchi nacque a Ravenna il 30 luglio 1860 (da Federico e da Celeste Gori). Fece i suoi primi studi nel Seminario Diocesano di Ravenna per poi recarsi, nel 1877, al Pontificio Seminario Pio di Roma. Qui ebbe la fortuna di conoscere e studiare insieme al grande storico don Francesco Lanzoni, don Umberto Fracassini figura di spicco del modernismo italiano del primo novecento, e Giacomo Della Chiesa, il futuro papa Benedetto XV.
Giovanni Genocchi fu ordinato sacerdote il 23 marzo 1883 e, due anni più tardi, compì il suo primo viaggio in Oriente, visitando l’Egitto, la Palestina e la Siria, dandone relazione dettagliata in un resoconto pubblicato nel 1886, dal titolo Il mio viaggio in Oriente in forma di lettere indirizzate a don Umberto Fracassini. Ritornato a Ravenna fu incaricato di insegnare Sacra Scrittura, ebraico e greco biblico nel seminario di Ravenna, anche se, nel settembre del 1886, entrò nel noviziato dei Missionari del Sacro Cuore dove per un indulto speciale di Leone XIII professò i voti solenni dopo appena due mesi dall’accettazione nella Congregazione.

Il 27 ottobre di questo stesso anno fu inviato a Chezal-Benoît, in Francia, dove ricevette l’incarico di insegnare Sacra Scrittura e Teologia morale nella casa dello studentato dei Missionari del Sacro Cuore. In questo periodo iniziò ad approfondire lo studio della critica biblica.
Nei primi giorni di marzo del 1897 fece visita ad A. Loisy, biblista e uno promotore del modernismo francese, che , in quel tempo viveva a Neuilly, dopo il suo allontanamento dall’Institut catholique di Parigi. Dopo questo incontro ebbe inizio un rapporto che ebbe, con tutta probabilità, un ruolo rilevante anche nella sua personale formazione di erudito biblista.
Nel luglio 1897 fu nominato, dal Capitolo Generale della Congregazione del S. Cuore, Superiore della casa di Roma. La casa di via della Sapienza (attualmente Corso del Rinascimento 23) a Roma, divenne un punto di riferimento e un luogo d’incontro capace di esercitare un forte influsso sulla realtà culturale e religiosa di quegli anni. La casa era abitualmente frequentata da: F.-X. Kraus, A. von Harnack, F. van Ortroy, L. Duchesne, J.-M. Lagrange domenicano e biblista, fondatore dell’École biblique et archéologique française di Gerusalemme, F. von Hügel, F. Vigouroux, J.M. Spalding, E. Le Camus, P.-H. Battifol, D. O’Connell, T. Roosevelt.

Più tardi, nel momento più acuto della crisi modernista, un anonimo consultore del S. Uffizio poté scrivere che nella casa del S. Cuore a piazza Navona il Padre Genocchi aveva “formato una scuola d’ipercritici tra i giovani suoi discepoli e che alimenta a Roma l’ipercriticismo tedesco” (Turvasi, 1971, pp. 24 s.). In realtà fu questo un altro aspetto significante del ruolo del Padre Genocchi nella vita della Chiesa cattolica: egli rappresentò la possibilità di un incontro per quanti, personalità e semplici credenti, cercavano un momento di confronto critico, una parola amica in rapporto agli aspetti più controversi della crisi che la Chiesa viveva in un momento così complesso.
«“Padre Genocchi è un galantuomo” disse di lui Pio X quando i zeloti glielo presentarono in luce di modernista; e con questa frase bonaria il Papa rese omaggio alla caratteristica dell’uomo, che non conobbe mai i sentieri tortuosi, e servendo rigidamente la propria coscienza rinunciò senza ombra di esitazione a tutti i vantaggi che potevano venirgli da una condotta più duttile e meno rettilinea» (P. Vincenzo Ceresi, Padre Genocchi, 1945, p. 42).
Sempre nel 1897, nel mese di novembre, inizio a insegnare esegesi biblica istituita nella Pontificia Università dell’Apollinare. Si sparse subito la voce per Roma che il Padre Giovanni Genocchi era «probabilmente il più dotto nelle Sacre Scritture in Roma» (Le condizioni religiose in Italia, in Riv. di studi religiosi, III [1903], p. 15).
Egli suscitò entusiasmo fra gli studenti del seminario romano e preoccupazione in alcuni ambienti della Curia e del vicariato: per questo l’esperienza di insegnamento durò ben poco perché la cattedra di la cattedra di esegesi biblica istituita da Leone XIII venne soppressa l’anno successivo.

Negli anni a seguire la frequentazione di amici e conoscenti che si legarono al modernismo, l’assunzione di posizioni molto avanzate nel campo della critica biblica posero, ovviamente, il problema del suo personale rapporto col movimento modernista tanto che il 28 gennaio 1910, fu chiamato ad interrogatorio dal S. Uffizio. In quell’occasione il Padre Genocchi fu invitato da Papa Pio X, con la quale aveva un rapporto abbastanza confidenziale, ad allontanare dalla casa di Via della Sapienza tutte le persone sospette di modernismo.

Nel 1911 il Padre Giovanni Genocchi riprese la sua attività di visitatore apostolico: fu incaricato da Pio X di recarsi in America Latina per studiare le condizioni di vita degli indigeni e per valutare lo stato delle missioni cattoliche in alcune zone di quel continente. Doveva occuparsi soprattutto della missione pontificia nel Putumayo, riguardo alla quale erano giunti alla S. Sede rapporti allarmanti sulla situazione delle popolazioni locali e sullo sfruttamento che nei loro riguardi esercitavano i commercianti di caucciù. In questa occasione visitò anche l’Argentina, il Cile, il Perù, Panama, le Barbados, inviando alla segreteria di Stato vaticana, da tutti questi luoghi, rapporti sulle condizioni di vita degli indigeni.

Il 4 apr. 1912 rientrò a Roma e il 26 fu ricevuto in udienza dal papa. Il suo lavoro e la sua collaborazione traspaiono nella successiva opera di ristrutturazione delle missioni, nella redazione dell’enciclica Lacrimabili statu Indorum (giugno 1912), nonché nei rapporti istituiti dalla segreteria di Stato coi vari governi dell’America Latina al fine di razionalizzare la presenza cattolica e l’attività missionaria in quel continente.
Nel 1920, Benedetto XV lo inviò come visitatore in Ucraina allo scopo di portare soccorsi contro l’epidemia tifoidea che vi era esplosa e di acquisire informazioni dettagliate sullo scontro in atto fra Polacchi e Ucraini e sui movimenti di unione a Roma che si andavano manifestando fra gli ortodossi locali.
Nel gennaio 1923 Pio XI gli chiese di recarsi in Galizia per visitare le diocesi di Leopoli, Stanislav e Przemyśl.
Sei mesi dopo, ritornò a Roma. Morì a Roma il 6 gennaio 1926.

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