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La storia di Gianluca

“Misericordias Domini in aeternum cantabo” (Salmo 88)

 

Questa è forse la frase che meglio può rappresentare la chiamata che ho ricevuto e la svolta della mia vita da quando ho detto “si” a Gesù fino ad oggi.
Perché cantare la misericordia del Signore? Per due ragioni:

La prima perché nel canto, e nella musica più in generale, il Signore mi parlava, ma io, come il profeta Samuele, non capivo, non distinguevo la chiamata del Signore. Penso sempre a come il Signore viva nell’armonia musicale e attraverso quell’armonia ci parli, parli al nostro cuore, alla nostra anima; lo sento invadere la profondità della mia anima nei primi accordi del Tristano e Isotta di Wagner, così come nel glorioso canto dell’Adoro Te Devote della tradizione gregoriana della nostra Chiesa.

La seconda ragione perché attraverso il canto noi possiamo parlare a Lui; come dice sant’Agostino nel Libro delle Confessioni: “Canta nel giubilo. Cantare con arte a Dio consiste proprio in questo: Cantare nel giubilo. Che cosa significa cantare nel giubilo? Comprendere e non saper spiegare a parole ciò che si canta col cuore. Il giubilo è quella melodia, con la quale il cuore effonde quanto non gli riesce di esprimere a parole. E verso chi è più giusto elevare questo canto di giubilo, se non verso l’ineffabile Dio? Infatti è ineffabile colui che tu non puoi esprimere”.
Potrei parlare di questo argomento davvero a lungo, ma preferisco fermarmi qui e raccontare brevemente il mio percorso vocazionale.

Mi chiamo Gianluca, ho 27 anni e vengo dalla Sardegna, quell’isola meravigliosa di cui Fabrizio De André diceva: “ventiquattro mila chilometri di foreste, di campagne, di coste immerse in un mare miracoloso dovrebbero coincidere con quello che io consiglierei al buon Dio di regalarci come Paradiso”.

Non sono un grande scrittore, specialmente se devo parlare di me, ma farò del mio meglio perché da queste poche righe possiate farvi un’idea più o meno chiara di me e del mio incontro con il Signore, partendo dal presupposto che la vocazione è un grande miracolo della fede e chi ha la pretesa di comprenderla non ne viene a capo. La mia vita, prima di rispondere come Maria “fiat mihi secundum verbum tuum”, era interamente dedicata alla musica: studiavo al conservatorio, dirigevo 3 cori e insegnavo; ero il classico “cattolico della domenica”: battesimo, comunione e cresima come fanno tutti, e il mio impegno si limitava alle messe della domenica e delle feste comandate, che spesso accompagnavo all’organo o con il coro.

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Fu il mio parroco a mettermi sulla strada, quando un giorno mi chiese a bruciapelo se volessi diventare sacerdote. Una domanda cui non risposi, ma che sentivo essere quella giusta.  Non passò molto tempo e dissi ai miei che sarei entrato in seminario. All’inizio cercavo di immaginare, preconfigurare e ipotizzare il percorso che mi avrebbe portato verso il Signore; erano i primi tempi e avevo molte aspettative ma anche molte paure, poi ho imparato ad abbandonarmi con fiducia a Lui, o almeno ci provo. Oggi provo solo il grande desiderio di riuscire a portare Cristo, di riuscire a darne ed esserne una vera e degna immagine.

Ho fatto l’anno di propedeutica nel seminario minore della mia diocesi e sono giunto a Roma, in uno dei tanti collegi religiosi che ospitano seminaristi di varie diocesi. In quei mesi ho avuto la fortuna di conoscere giovani che provenivano da realtà lontane e molto meno agiate della mia, e ammiravo il modo in cui vivevano la loro spiritualità e persino le grandi difficoltà che attraversavano nel loro cammino vocazionale, che instillavano in loro una grande forza. Appena un mese dopo il mio ingresso in seminario, il parroco che mi aveva guidato fino ad allora è partito in missione in Argentina, e la gioia che ho visto nei suoi occhi il giorno della partenza mi ha spinto a profonde riflessioni. Sentivo sempre più distintamente che il Signore mi chiedeva un coinvolgimento ancora più intenso, un’esperienza più forte di quella del seminario e della vita diocesana, e così ho preso del tempo per riflettere e aspettare. Ho chiesto ed ottenuto ospitalità da un amico sacerdote in una parrocchia appena fuori Milano, e lì il Signore mi parlava e mi amava attraverso le splendide persone che mi ha messo sul quel cammino; io ho pregato molto, attendendo senza fretta che il Signore mi indicasse la strada che voleva farmi percorrere.
Ed ecco che, appena qualche mese dopo, don Maximo – sacerdote di origine brasiliana, a Roma per studio – mi ha invitato a conoscere la congregazione dei Missionari del Sacro Cuore di Gesù. Ah che bello il modo in cui il Signore opera attraverso il nostro prossimo!

Adesso capisco ancora meglio quel versetto del salmo 88 Canterò in eterno la Misericordia – che sgorga dal Cuore – di Gesù.
Credo così di aver trovato una realtà in cui vivere questo “motto” del salmista e nel frattempo percorrere anche la stretta e ripida salita verso la santità a cui tutti siamo chiamati: pregare per me e per gli altri, intercedere per tutti al Signore, donare la mia vita a tutti e per tutti e far conoscere a tutti la bellezza della Misericordia del Signore facendo tutto con amore “Basta uno spillo raccolto per terra con amore per salvare un’anima” (S. Teresa di Lisieux) e “Rischiare la vita per il Signore” (papa Francesco).

Mi sento un cristiano amato, molto perdonato e indegnamente chiamato da Dio; pensando a Gesù che disse al fariseo che criticava gli onori della prostituta “colui al quale si perdona poco, ama poco”, mi impegno con gioia ad amare Dio e i fratelli. Gesù mi chiama perché mi ama, non perché io sia speciale o migliore degli altri…anzi! Oggi è la festa dell’apostolo Matteo e chi più di lui può essere l’esempio di come il Signore ci chiami per suo infinito amore e non per nostri meriti.

Affido all’intercessione di Maria Santissima, Nostra Signora del Sacro Cuore di Gesù, questa congregazione che mi ha accolto e amato fin dal principio e mi unisco a loro nella corsa verso la santità in cui tutti camminiamo.

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